
«Secundum probatum Ecclesiae morem, sacerdoti cuilibet Missam celebranti aut concelebranti licei stipem oblatam recipere, ut iuxta certam intentionem Missam applicet» – «Secondo l’uso approvato della Chiesa, è lecito ad ogni sacerdote che celebra la Messa, ricevere l’offerta data affinché applichi la Messa secondo una determinata intenzione» (can. 945 § 1 CIC).
«L’Eucaristia, sebbene costituisca la pienezza della vita sacramentale, non è un premio per i perfetti ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli. Queste convinzioni hanno anche conseguenze pastorali che siamo chiamati a considerare con prudenza e audacia. Di frequente ci comportiamo come controllori della grazia e non come facilitatori. Ma la Chiesa non è una dogana, è la casa paterna dove c’è posto per ciascuno con la sua vita faticosa» [1].
Coscienti di questa grazia, i fedeli per mezzo dell’offerta vogliono unirsi più strettamente al Sacrificio Eucaristico aggiungendovi un sacrificio proprio e collaborando alle necessità della Chiesa e, in particolare, contribuendo al mantenimento dei suoi sacri ministri.
In questo modo i fedeli si uniscono più intimamente a Cristo che offre sé stesso e sono, in un certo senso, ancor più profondamente inseriti nella comunione con Lui. Quest’uso non solo è approvato dalla Chiesa, ma da essa è anche promosso [2].
L’apostolo Paolo scrive che quanti servono l’altare hanno anche diritto di vivere dell’altare (Cfr I Cor 9, 13-14; I Tim 5, 18; Lc 10, 7). Le norme raccolte nei primi secoli informano circa doni offerti volontariamente nella celebrazione dell’Eucaristia. Di essi una parte era destinata ai poveri, una parte alla mensa episcopalis e a coloro ai quali il Vescovo offriva ospitalità, una parte al culto e una parte ai chierici celebranti o assistenti, secondo un criterio di distribuzione prestabilito [3].
Quanti facevano offerte erano, in tal modo, coinvolti in maniera speciale nel Sacrificio Eucaristico. I doni offerti durante l’Eucaristia, e successivamente anche al di fuori, erano considerati come una ricompensa a un benefattore, come un dono in occasione del servizio (occasione servitii) compiuto dal sacerdote, come un’elemosina e mai come “prezzo di vendita” per qualcosa di santo; ciò infatti diventerebbe un atto simoniaco.
In questo tempo la Messa veniva già celebrata, su richiesta dei fedeli, per una determinata intenzione, anche se non accompagnata da un dono. Successivamente si sviluppò l’uso di offrire un’elemosina per la celebrazione di una Messa e di dare doni al sacerdote o alla Chiesa. Proprio questa pratica costituisce il precedente dell’offerta per la celebrazione della Messa. A partire dalla fine del decimo secolo, per chiedere la celebrazione della Messa per una determinata intenzione, venivano offerti doni commemorativi. In questo stesso periodo sorgono le fondazioni di Messe, ovvero l’obbligo di celebrare Messe per intenzioni prefissate. Nacque così l’uso di elargire un’offerta in occasione della Messa, usanza che la Chiesa, non solo approva, ma raccomanda e promuove.
La consuetudine secolare e la disciplina della Chiesa insiste perché a ciascuna singola offerta corrisponda la distinta applicazione, da parte del sacerdote, di una Messa da lui celebrata. La dottrina cattolica, inoltre, manifestata anche dal sensus fidelium, insegna il beneficio spirituale e l’utilità, nell’economia della grazia, per le persone e i fini per i quali il sacerdote applica le Messe che celebra, nonché, in questa stessa prospettiva, il valore dell’applicazione reiterata per le stesse persone o finalità.
Quanto poi all’applicazione in rapporto alla quale è stata ricevuta, nel senso suesposto, un’offerta, è stato più volte espresso il divieto di applicare una sola Messa per più intenzioni, per le quali sono state accettate rispettivamente più offerte.
Tale prassi, come anche la mancata applicazione di una Messa in rapporto all’offerta accettata, sono state giudicate contrarie alla giustizia, come viene ripetutamente espresso nei documenti ecclesiastici [4].
Non meno illecita sarebbe la sostituzione dell’applicazione promessa nella Messa con la sola “intenzione di preghiera” nel corso di una celebrazione della Parola o con una semplice menzione in alcuni momenti della celebrazione eucaristica.
La disciplina della Chiesa in materia, anche astraendo da discorsi di natura prettamente teologica, s’ispira palesemente a due ordini di considerazioni: la giustizia verso gli offerenti, e cioè il mantenimento della parola data agli offerenti, e il dovere di evitare che ci sia anche solo la mera apparenza di “commercio” di cose sacre (Cfr cann. 947; 945 § 2 CIC).
In tempi più recenti sono, tuttavia, emerse situazioni e richieste, che hanno suggerito di adattare alcuni particolari della disciplina, creando un’eccezione alla legge universale, proprio per salvaguardare tutto quanto risulta essenziale.
Tra queste troviamo la carenza di clero in grado di soddisfare le richieste di Messe, il dovere di non «frustrare la pia volontà degli offerenti, distogliendoli dal buon proposito» [5], insieme alla constatazione che l’uso delle Messe, cosiddette “collettive”, «qualora si allargasse eccessivamente […] deve essere ritenuto un abuso e potrebbe ingenerare progressivamente nei fedeli la desuetudine di offrire l’obolo per la celebrazione di Messe secondo intenzioni singole, estinguendo un’antichissima consuetudine salutare per le singole anime e per tutta la Chiesa» [6], costituiscono solo alcune delle ragioni per le innovazioni.
Era su questo sfondo che, il 22 febbraio 1991, l’allora Congregazione per il Clero emanò il Decreto Mos iugiter [7].
Il Decreto, ribadendo i capisaldi dottrinali e le norme fondamentali della disciplina, già accolta dal Codex Iuris Canonici, prevede che, a determinate condizioni, e solo in tali casi, il sacerdote possa comunque applicare una sola Messa per più intenzioni, in rapporto alle quali ha ricevuto offerte distinte.
Le condizioni formulate intendevano, per l’appunto, da una parte, assicurare la giustizia, e cioè il mantenimento della parola data agli offerenti, e dall’altra allontanare il pericolo, o anche solo la parvenza, di “commercio” di cose sacre.
È proprio la volontà di esclusione di tale pericolo che consentiva di adottare simili modifiche disciplinari. Concretamente, in questa prospettiva, il Decreto stabilisce soprattutto che, solo nel caso in cui i donatori dell’offerta siano stati opportunamente informati e abbiano espresso il proprio accordo [esplicito consenso], si possano raccogliere più offerte per un’unica celebrazione della Messa, e che tale celebrazione non sia quotidiana, onde evitare di ingenerare una prassi comune e al fine di mantenere il carattere dell’eccezionalità.
Trascorsi oltre trentaquattro anni dall’entrata in vigore del Decreto Mos iugiter, in base all’esperienza da allora accumulata, in risposta alle osservazioni, ai quesiti e alle sollecitazioni pervenute da diverse parti del mondo, dai Vescovi, ma anche da membri del clero, da fedeli laici e dalle persone e comunità di vita consacrata, questo Dicastero, avendo considerato in profondità tutti gli aspetti della materia, e dopo ampia consultazione con gli altri Dicasteri interessati, sive ratione materiae sive alia ratione, ha maturato il giudizio che occorrano ora nuove norme che disciplinino la materia, adeguandola conformemente.
In considerazione dell’opportunità di aggiornare la normativa e, nello stesso tempo, di renderla anche più esplicita nell’esclusione di talune prassi che, abusivamente, si sono verificate in vari luoghi, questo Dicastero ha disposto di emanare, e ora emana, le norme che seguono, a integrazione della disciplina attualmente vigente in materia:
Art. 1 § 1 Rimanendo fermo il can. 945 CIC, se il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia, tenendo conto di condizioni quali, per esempio, il numero dei sacerdoti rispetto alle richieste di intenzioni o il contesto sociale ed ecclesiale, nei limiti della propria giurisdizione lo dispone per decreto, i sacerdoti possono accettare più offerte da offerenti distinti, cumulandole con altre e soddisfacendovi con una sola Messa, celebrata secondo un’unica intenzione “collettiva”, qualora – e soltanto qualora – tutti gli offerenti ne siano stati informati e liberamente abbiano acconsentito.
§ 2 Tale volontà degli offerenti non può mai essere presunta; anzi, in assenza di un consenso esplicito, si presume sempre che non sia stata data.
§ 3 Nel caso di cui al § 1, al celebrante è lecito tenere per sé l’offerta di una sola intenzione (Cfr cann. 950-952 CIC).
§ 4 Ogni comunità cristiana sia attenta a offrire la possibilità di celebrare Messe giornaliere di intenzione singola, per le quali il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia fissano lo stipendio stabilito (Cfr can. 952 CIC).
Art. 2 Fatto salvo il can. 905 CIC, qualora il sacerdote celebri legittimamente l’Eucaristia più volte nello stesso giorno, se necessario e richiesto dal vero bene dei fedeli, può celebrare differenti Messe anche secondo intenzioni “collettive”, restando fermo che gli è lecito trattenere, quotidianamente, una sola offerta per una sola intenzione tra quelle accettate (Cfr cann. 950-952 CIC).
Art. 3 § 1 Occorre soprattutto tenere presente le disposizioni del can. 848 CIC il quale stabilisce che il ministro, oltre alle offerte determinate dalla competente autorità, per l’amministrazione dei sacramenti non domandi nulla, evitando sempre che i più bisognosi siano privati dell’aiuto dei sacramenti a motivo della povertà. Si osservi inoltre quanto vivamente raccomandato dal can. 945 § 2 CIC, vale a dire «di celebrare la Messa per le intenzioni dei fedeli, soprattutto dei più poveri, anche senza ricevere alcuna offerta».
§ 2 Per la destinazione delle offerte si applichi, congrua congruis referendo, la norma del can. 951 CIC.
§ 3 In considerazione delle circostanze specifiche della Chiesa particolare, e del suo clero, il Vescovo diocesano può, per legge particolare, disporre la destinazione di tali offerte alle parrocchie in stato di necessità della propria o di altre diocesi, specialmente nei paesi di missione.
Art. 4 § 1 Spetta agli Ordinari erudire il rispettivo clero e popolo circa il contenuto e significato di queste norme, e vigilare sulla loro corretta applicazione, curando che si annotino accuratamente sull’apposito registro il numero delle messe da celebrare, le intenzioni, le offerte e l’avvenuta celebrazione nonché prendendo ogni anno visione di tali registri, personalmente o tramite altri (Cfr can. 958 CIC).
§ 2 In modo particolare, sia gli Ordinari che gli altri Pastori della Chiesa debbono assicurare che sia a tutti eminentemente chiara la distinzione tra l’applicazione per un’intenzione determinata della Messa, (ancorché “collettiva”) e il semplice ricordo nel corso di una celebrazione della Parola o in alcuni momenti della celebrazione eucaristica.
§ 3 Sia specialmente reso noto a tutti che la sollecitazione o anche solo l’accettazione di offerte in relazione alle due ultime fattispecie è gravemente illecita; laddove simile uso sia indebitamente diffuso, gli Ordinari competenti non escludano il ricorso a misure disciplinari e/o penali per debellare tale deprecabile fenomeno.
Art. 5 In vista dei valori anche soprannaturali connessi con la veneranda lodevole prassi di ricevere l’offerta elargita affinché applichi una Messa secondo una determinata intenzione (Cfr can. 948 CIC), per favorire altresì l’apprezzabile usanza di trasferire nei paesi di missione le intenzioni di Messe in esubero con le corrispondenti offerte, curino i Pastori di anime di incoraggiare opportunamente i fedeli a mantenerla, e laddove fosse indebolita, a rinvigorirla e promuoverla, anche attraverso l’opportuna catechesi sui novissimi e sulla communio sanctorum.
Art. 6 Laddove il concilio provinciale o la riunione dei Vescovi della provincia nulla dispongano in materia rimane in vigore quanto previsto dal Decreto Mos iugiter del 22 febbraio 1991.
Il Dicastero per il Clero, trascorsi dieci anni dall’entrata in vigore delle presenti norme, promuoverà uno studio della prassi nonché della normativa vigente in materia, in vista di una verifica della sua applicazione e di un eventuale aggiornamento.
Il Sommo Pontefice, in data 13 aprile 2025, Domenica delle Palme, ha approvato in forma specifica il presente decreto e ne ha ordinato la promulgazione, disponendone l’entrata in vigore il 20 aprile 2025, Domenica di Pasqua, derogatis derogandis, contrariis quibuslibet minime obstantibus.
Lazzaro Card. You Heung sik
Prefetto
+ Andrés Gabriel Ferrada Moreira
Arcivescovo Tit. di Tiburnia
Segretario
SI LEGGE DA QUI