Sabato pomeriggio attorno alla chiesetta delle ex caserme Gallardi di Ventimiglia si è fatto festa per don Bosco. Non è una notizia straordinaria e di per sé forse non meriterebbe un posto sul nostro giornale (Avvenire n.d.r), ma quale significato ha? Se ci si ferma a pensare, è un qualcosa di straordinario. Un prestidigitatore che si fà chiamare «Sasà», tanti dolci portati da tutti, i bambini ed il loro genitori, i nonni che sono emigrati tanti anni fa, la memoria viva di suor Eligia: ecco gli ingredienti per stringere forte la presenza di don Bosco e per continuare a sperimentare i frutti del suo metodo educativo, basato sulla prevenzione.
San Giovanni Paolo II nel lontano 1988 scriveva: «Addensati nelle periferie delle città, i poveri in genere ed i giovani in particolare diventano oggetto di sfruttamento o vittime della disoccupazione; durante la loro crescita umana, morale, religiosa, professionale sono seguiti in maniera insufficiente e spesso non sono affatto curati. Sensibili ad ogni mutamento, i giovani restano sovente insicuri e smarriti.
Di fronte a questa massa sradicata l’educazione tradizionale rimane sconvolta: a vario titolo filantropi, educatori, ecclesiastici si sforzano di venire incontro ai nuovi bisogni». La presenza salesiana in questa periferia stana le nuove generazioni mostrando come una proposta realizzabile la fede cristiana, è un invito a ridare coraggio a chi non avrebbe voglia nè di festeggiare nè di vivere perchè immerso nella paura di perdere la casa o il lavoro. Alle Gallardi la sfida educativa è quella di accendere il fuoco della fiducia, che può divorare ogni barriera.