La sua connotazione spaziale orienta l’anima verso le strofe di san Giovanni della Croce, dalle quali ne deriva il compiacimento e la forte commozione che matura nell’incontro tra Cristo (l’Amato) e la Chiesa (l’amata). Per tale motivo, la notte diviene il momento propizio per l’incontro con Cristo:
“In una notte oscura, con ansie, dal mio amor tutta infiammata, oh, sorte fortunata!, uscii, né fui notata, stando la mia casa al sonno abbandonata.
Al buio e più sicura, per la segreta scala, travestita, oh, sorte fortunata!, al buio e ben celata, stando la mia casa al sonno abbandonata.
Nella gioiosa notte, in segreto, senza esser veduta, senza veder cosa, né altra luce o guida avea fuor quella che in cuor mi ardea.
E questa mi guidava, più sicura del sole a mezzogiorno, là dove mi aspettava chi ben io conoscea, in un luogo ove nessuno si vedea.
Notte che mi guidasti, oh, notte più dell’alba compiacente! Oh, notte che riunisti l’Amato con l’amata, amata nell’Amato trasformata!”.
La notte che è immagine delle acque e che sparisce nella beata rinascita è simile alla passione che c’è tra i due amanti e che ci suggerisce pure il testo assai fascinoso del Preconio Pasquale, lì dove riferisce che la colpa è detta “felice” perché è stata strumento per la Redenzione.
Il fonte battesimale ottagono rimanda al giorno della Risurrezione, giorno luminoso in cui si è stato svelato il portato dell’eterno amore di Dio per l’uomo.
La notte di Pasqua il Cero Pasquale viene acceso a significare la vittoria di Cristo sulle tenebre. La luce ed il fuoco hanno da sempre dominato il panorama delle Sacre Scritture: fu il roveto, infatti, ad ardere dinanzi a Mosè (cfr. Es 3,1–6), e una colonna di fuoco (culumna ignis) a guidare Israele nel deserto, ad avvolgere Cristo nella trasfigurazione (cfr. Mt 17,1–5) e la Vergine nell’Apocalisse di san Giovanni Evangelista (cfr. Ap 16,1–6). La luce, inoltre, è il simbolo del discernimento che la Chiesa ha, in qualità di Madre del popolo cristiano, per opera dello Spirito Santo.
Romano Guardini puntualizza come il cero, per la sua importanza, «si consuma nella sua vocazione, senza cessa, trasformandosi in luce e vampa. Tu dici forse: “Cosa ne sa il cero? Esso invero non possiede anima!” così gliela dai tu! Fa’ che assurga a espressione della tua anima. Ridesta dinanzi a esso ogni nobile prontezza: “Signore, sono qui!”. Allora tu sentirai la sua figura snella e pura quale espressione del tuo proprio sentimento”» (R. GUARDINI, Lo spirito della liturgia – I santi segni, Ed. Morcelliana, Brescia 2007, p.152.).
Alla luce di quanto indagato, possiamo comprendere l’importanza del photistérion quale luogo eminente per l’incorporazione a Cristo di tutti i battezzati.
Arch. Michele Palazzotto