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Intervista a S. Ecc.za Mons. Agostino Marchetto

17 Luglio 2023

Essere riconosciuti da Cristo attraverso Pietro è un dono per meglio donarsi.

Foto: incontro di mons. Marchetto con il Clero della nostra Diocesi a Vallecrosia il 17 maggio scorso

Come un figlio parla con il padre ecco il dono di questo incontro per meglio servire la Chiesa, popolo di Dio.

Eccellenza buongiorno e grazie dell’attenzione. Siamo lieti di scambiare poche preziose parole con Lei che di tanto in tanto ci ha arricchito con i Suoi contributi e i Suoi studi sul Concilio Vaticano II, il Magno Sinodo.

Paolo Cilia: Il Santo Padre Le ha fatto un dono ed una chiamata. Sarebbe utile per tutti conoscere, come possibile, il Suo stato d’animo. È una testimonianza per la Chiesa.

Agostino Marchetto: Il mio stato d’animo, come ho manifestato fin dal primo momento, è stato avvolto da grandissima sorpresa, finanche di preoccupazione perché quel che mi si chiedeva, in concreto, nell’immediato, e cioè la preparazione dell’avvenimento, la mia partecipazione, comportava anche un cammino sconosciuto. Sono stato quindi confermato che, pur essendo da molti considerato un curiale, non lo sono. Comunque per grazia di Dio, quasi subito una marea di gioia mi ha raggiunto. Sono stato cioè destinatario di messaggi che esprimevano allegria per questa “creazione” cardinalizia, così si dice. Gioia poi chiamò gioia. Dare allegrezza, soddisfazione agli altri è stata causa del superamento di ogni incertezza e del dispiegarsi del mio grazie riconoscente al Signore, alla Chiesa, al Santo Padre.

Paolo Cilia: Nelle chiamate a volte si chiude una porta e e si apre un orizzonte. È tempo di bilanci e di rilancio. Quali sono i momenti/dono che si sente di condividere con gratitudine e contemplazione, con i lettori, di questi anni di servizio alla Chiesa?

Agostino Marchetto: La domanda mi proietta negli anni di servizio umano, cristiano, sacerdotale, diplomatico. E così sento la gioia di non aver tradito il primitivo amore e la chiamata. Sono “andato prete”, come diciamo noi veneti, per essere pastore, specialmente dedicato alla gioventù, perché la chiamata della vocazione e il ministero sacerdotale sono stati il proseguimento di quanto facevo come Delegato Aspiranti, di Azione Cattolica, e ciò è avvenuto anche nel tempo passato all’estero. Cambiavano i ruoli, oltre la diplomazia, l’essere cioè, per esempio, professore nei seminari, parroco o a disposizione come cappellano nelle parrocchie bisognose, visitatore di vecchi e di malati, sostenitore della fede di fronte alle ideologie, ricercatore di aiuti per i poveri, visitatore delle diocesi, in dialogo con il Corpo Diplomatico, come sostegno per i rifugiati anche in Africa, incaricato spirituale di campi di lavoro degli operai all’estero. Mi arresto qui.

Paolo Cilia: Riforma e rinnovamento, in comunione, nella continuità dell’unico soggetto Chiesa. Possiamo dare una risposta articolata che sia punto fermo, di rilancio e di mutua orchestrazione per i “fedeli tradizionali” e i “fedeli attenti all’oggidì”, per usare un Suo linguaggio?

Agostino Marchetto: Un punto fermo? Lo sto “predicando” da lunga pezza, e cioè, in questo momento della vita della Chiesa e di essa nel mondo, indicando una bussola, il Concilio Ecumenico Vaticano II, il suo “et” “et”, il “genio” del Cattolicesimo. In fondo esso ha segnato la mia vita dalla tesi di laurea all’oggidì. E vi fui indirizzato dalla conoscenza scolastica della lingua tedesca, che non avevo scelto, ma mi fu imposta dalla difficoltà di avere invece la lingua inglese. E senza la conoscenza della lingua tedesca non avrei potuto lavorare sul tema della mia tesi di laurea, “Il Primato Pontificio nelle Decretali Pseudo Isidoriane”. Senza tale conoscenza non sarei poi mai stato chiamato a studiare a Roma, frutto di un incontro con il Padre Meersseman, che aveva bisogno di aiuto per l’italiano, quando passava nella mia città, e che direttamente chiese alla Segreteria di Stato di chiamare me, giovanissimo sacerdote, a Roma. Per lui se ne sentiva il bisogno nel Caput mundi per la così scarsa presenza di conoscitori. Non ho dimenticato, badate, il punto fermo del Concilio tenendo conto del Sinodo sulla Sinodalità, al fine di mettere insieme “greci e troiani”, e tutti capiscono, credo, quel che voglio dire.

Paolo Cilia: La Pazienza di Dio cammina con un’analisi serena e grata della storia. Ci può dire qualcosa di accessibile e nel contempo di stimolo (per chi desiderasse approfondire) su i Diari del segretario generale del Vaticano II, Pericle Felici?

Agostino Marchetto: Il “Diario Felici”? Dovete leggerlo per vedere la spiritualità di un uomo di Curia, e, prima, di Seminario Romano, come suo grande, ricordato e amato Padre spirituale. Quanta sofferenza e saggezza esso rivela. E fu opera che costò una mezza vita di Mons. Carbone e un bel pezzo di anni e preoccupazioni a me. È sufficiente. Non si può capire Paolo Vi senza una sua lettura, il Papa del Concilio, con Papa Giovanni che lo avviò alla grande e alla semplice, con la sua fede, il suo amore, la sua sofferenza e vita di pellegrino dell’Assoluto in varie parti del mondo. Ebbene ivi troviamo la finezza, l’intelligenza, l’amore di Papa Montini, la sua modernità nel radicamento senza fallo nella Tradizione.

Paolo Cilia: Siamo tutti forestieri e pellegrini questo mondo e poi il discepolo di Cristo è itinerante nella vita perché il cuore ha trovato una casa. È proprio la Castità, in tal senso, che porta a comprendere l’itineranza e le Persone che migrano. Perché questo fenomeno storico è istruttivo per la Chiesa intera?

Agostino Marchetto: La castità porta a comprendere l’itineranza? Mi è difficile dirlo. Però sì, la castità battesimale, che è dono per tutti e che aiuta a formarci all’amore (come ricorda GS 49), ci porta a fissare il cuore nel cuore del Padre, per Cristo e nello Spirito. Si è a casa sempre, qualunque sia la casa delle mura o della storia che ci viene consegnata. Ed anche i muri rovinati e caduti sono un’occasione per “riparare nella continuità”. In fondo ripara chi ama, cioè chi è gioiosamente casto, come il poverello di Assisi; a cui il Signore diede dei fratelli, come ricorda Francesco nel Testamento. Farci carico delle ferite del mondo e delle persone, nella storia concreta, è un dovere nell’Amore che ci rende figli dello stesso Padre, con Cristo. È un’opportunità che nasce da un dovere che a sua volta nasce da un dono che abbiamo ricevuto.

Paolo Cilia: Eccellenza facciamo un passo indietro. La Sacrosanctum Concilium, al numero 10 ricorda che la Sacra Liturgia “è il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia”. Come secondo Lei questa affermazione così potente e paradigmatica illumina ogni evento Sinodale?

Agostino Marchetto: Il convenire assieme è un dono che nasce dallo Spirito e si perpetua e cresce in esso. Mente e cuore fissi qui. Un Sinodo che non si fonda sull’Opera di Dio prima che sull’opera nostra tradisce la sua vocazione. I sinodali, a mio avviso, cioè ciascuno di noi, è chiamato anzitutto ad essere un popolo in prostrazione e che dunque poi sa ascoltare i fratelli perché sa lodare Dio, e dargli gloria.

Paolo Cilia: Eccellenza siamo in ascolto. Se dovesse dare un suggerimento, uno stimolo, un richiamo al nostro servizio web? Grazie.

Agostino Marchetto: Vi esorto caldamente a continuare nella vostra opera web, diciamo così.

Paolo Cilia: La ringraziamo Eccellenza per aver aperto così semplicemente e cordialmente il suo animo.

Agostino Marchetto: Più che darvi un saluto vorrei dire una parola: “grazie”, anche per l’ospitalità che mi date, oltre la vostra preghiera e comunione nello Spirito. Vorrei illuminare questo ringraziamento ricorrendo alla lingua tedesca. Il verbo corrispondente in essa è danken. Orbene noto che è espressione quasi simile a denken, che in italiano vuol dire pensare. Si esercita quindi anche l’intelligenza quando diciamo grazie.

(Paolo Cilia, Il Cattolico, 15.07.2023)

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