«Il cuore di Gesù è la manifestazione più piena ed evidente della misericordia di Dio».
Queste le parole con le quali il vescovo Antonio Suetta si è rivolto ai fedeli venerdì scorso nella Concattedrale di San Siro in Sanremo, alla celebrazione di suffragio nel settimo di monsignor Giacomo Barabino. Era presente anche monsignor Alberto Maria Careggio, unitamente a molti sacerdoti, diaconi e seminaristi. «Noi abbiamo imparato dalle parole e dai gesti di Gesù – ha continuato nella sua omelia il presule a conoscere questo cuore capace di offrire tenerezza. Un cuore che scopriamo nell’ora della croce, quando si mostra dal costato trafitto attraverso il dono di quella vita offerta per noi: nel segno dell’acqua e del sangue».
Il vescovo ha ricordato come proprio nell’Eucaristia, che è la ripresentazione del sacrificio di Gesù, «noi possiamo pensare di essere al Calvario, davanti a Lui e fissare lo sguardo su quella croce che ci colpisce per la sua dimensione». Ci costringe ad alzare lo sguardo, per la sua altezza. «San Paolo ricorda che il Figlio ha dato la
sua vita per noi che eravamo empi. Questa è l’altezza dell’amore di Gesù, un amore che vince la morte e la paura e infonde nei nostri cuori la speranza che non delude». Ma le di- mensioni sono anche altre. «La croce è conficcata nella terra. Lì vediamo il mistero della sofferenza, del dolore, dell’abbandono. Contempliamo l’uomo dei dolori, che ci rivela il nostro limite e l’abisso del nostro cuore nel quale, accanto al bene, è presente anche il male, il peccato».
Ancora un passo avanti. Il vescovo invita a contemplare la lunghezza della croce che si dilata «nel tempo e nello spazio. Dal cuore trafitto ci viene rivelato questo trono misterioso. Che è anche un talamo. Ci riporta al mistero antico, quando Dio trae dal fianco di Adamo addormentato la donna. Immagine della Chiesa che nasce dal cuore di Cristo per annunciare la salvezza a tutti gli uomini». «Le braccia spalancate e inchiodate per dirci, la larghezza dell’amore, attraverso l’immagine evangelica del pastore il desiderio divino di cercare e abbracciare le pecore sperdute».
«L’amore di Dio illumina i nostri giorni. E quando Gesù racconta la parabola della pecora perduta ai farisei per rispondere alle loro mormorazioni (il nostro peccato), pone un interrogativo. Chi di voi non va a cercare la pecora smarrita? Nessuno! Nessuno andrebbe. Non un pastore e nemmeno noi, con la nostra logica. Penseremmo che se l’è cercata. Si arrangi». Parole forti e provocanti che ci richiamano ai nostri atteggiamenti, sullo stile di papa Francesco. «Nessuno lascerebbe le novantanove per andare a cercare la pecora smarrita: ma Dio lo fa! An- dando ben oltre ogni possibile aspettativa. E questo lascia il nostro cuore riconoscente». Infine: «Da questa immagine della croce, del cuore di Dio, pastore dei pastori, vogliamo ricordare Barabino e affidarlo a Lui, perché è stato testimone e dispensatore di questo amore».
Antonio Garibaldi
Sanremo, 6 giugno 2016