Alla Veglia Missionaria 2017 l’appassionata testimonianza di p. Solalinde,
difensore delle vittime della tratta di esseri umani in Messico
”La messe è molta”: è questo il titolo della veglia missionaria, presieduta dal nostro Vescovo, che sabato sera si è svolta nella parrocchia di San Giuseppe situata nel centro storico di Sanremo in preparazione alla giornata missionaria mondiale di domenica 22 ottobre. La veglia ci ha invitato alla preghiera anche attraverso alcuni gesti simbolici che visivamente hanno aiutano la riflessione: il mappamondo ci proietta in ogni angolo del pianeta dove sacerdoti, religiosi e laici operano per l’annuncio del Vangelo, l’immagine che ognuno ha portato al mappamondo rappresenta la quotidianità della “messe abbondante” e la spiga deposta ai piedi del globo indica il nostro impegno ad operare concretamente per l’annuncio a tutti gli uomini della terra.
Molto toccante e coinvolgente la testimonianza di Padre Solalinde un sacerdote messicano che dedica la propria vita alla causa dei migranti in viaggio verso gli Stati Uniti d’America. Proprio per questo suo impegno è stato utile ascoltare la sua storia che, anche se con le debite differenze e proporzioni, ha delle analogie con quanto viviamo in Diocesi al confine di Ventimiglia.
Un milione di dollari. È questa la cifra che i narcotrafficanti sono disposti a pagare pur di vedere ucciso padre Alejandro Solalinde, il più importante difensore dei migranti in Messico, responsabile di un centro di accoglienza a Ixtepec, città nel sud del Paese, nel quale ogni anno transitano 20mila migranti. Padre Solalinde dal 2011 vive sotto scorta per il suo impegno contro i narcos e per aver denunciato la corruzione delle autorità pubbliche.
Sono mezzo milione gli indocumentados che ogni anno transitano in Messico dal Centroamerica (Salvador, Guatemala, Honduras, …) verso gli Stati Uniti. Il 25% di loro sono donne, il 10% minori. Da quando entrano in Messico i migranti – che fuggono dalle violenze urbane e civili del Centroamerica – possono impiegare almeno un mese per raggiungere la frontiera statunitense, il sogno di ogni migrante alla ricerca di una vita migliore: in questo lungo viaggio sono vittime di rapimenti, violenze, torture, schiavismo a fine sessuale da parte dei narcotrafficanti, che incrementano i loro traffici: questo «commercio» di esseri umani vale 50 milioni di dollari all’anno. Ogni giorno 54 indocumentados vengono rapiti, 20 mila all’anno.
I dati ufficiali della polizia messicana parlano di 71.415 migranti «salvati» dai sequestri tra il 2007 e il 2014. Fino al 2005 di tutto questo padre Solalinde non si occupa, come racconta anche nel libro “I narcos mi vogliono morto” (in dialogo con Lucia Capuzzi, Emi, prefazione di Luigi Ciotti): è un «prete borghese», come lui stesso si definisce, fa il parroco, il professore, l’assistente dell’Azione cattolica, studia psicologia; da giovane addirittura apparteneva a un’associazione parafascista. Poi nel 2005 la «scoperta» degli indocumentados: li vede per la prima volta, inizia a prenderseli a cuore, apre «Hermanos en el camino», un centro perché questi migranti possano riposarsi, mangiare, avere un posto dove stare per rifugiarsi da polizia e narcos. Viene minacciato di morte diverse volte dai narcos che gli impongono il silenzio sui rapimenti dei migranti a scopo di estorsione. Ma padre Solalinde non tace, anzi denuncia ai mass media i fatti di violenza e corruzione di cui viene a conoscenza. Nel suo libro Solalinde racconta le lotte per la dignità dei migranti, le violenze da loro subite, la sua «conversione» per difendere i migranti in nome della solidarietà predicata da Gesù Cristo.
La sua è una vicenda che ha appassionato migliaia di persone in ogni parte del mondo: già dal 2012 Amnesty International ha lanciato una campagna internazionale in suo sostegno, quest’anno l’Accademia di Oslo aveva accettato la sua candidatura al Premio Nobel per la pace 2017, lanciata dall’Universidad Autónoma del Estado de México.