Nel vallone della Madonna eravi una chiesetta con antichi abituri, una casa diroccata e diverse grotte. Nella chiesetta, che trovai in meschino stato, eravi una statua della Vergine mutilata e gettata al suolo. La feci restaurare e disposi che ogni 22 settembre si cantasse una messa onde solennizzare il giorno del restauro e del possesso dell’isola avvenuto il 22 settembre 1843 quando con due piroscafi ed a nome del governo Borbone, sbarcammo a Lampedusa. La chiesetta suddetta serviva dapprima a doppio uso. Infatti al mio giungere nell’isola, all’ingresso c’era una stanza chiusa da un cancello e tutt’intorno alcuni sedili di pietra ed altre cose all’uso della religione dei turchi. Questo locale serviva per gli arabi che transitavano per qua e desideravano fare le orazioni della loro religione. Più in fondo, aperto il cancello, si presentava un secondo locale ove i fedeli che desideravano visitare la miracolosa immagine trovavano l’altare cristiano con sopra la Santa Vergine già mentovata».
Così scriveva al re Ferdinado II di Borbone Bernardo Maria Sanvisente, ufficiale di marina che sbarcò a metà ‘800 a Lampedusa, per fondarvi una nuova colonia.
Per questi motivi, il 22 settembre di ogni anno, Lampedusa festeggia la sua patrona, la Beata Maria Vergine di Porto Salvo, titolo attributito alla Madonna solo nei primi anni del ‘900. Infatti, in origine, il nome del santuario intitolato alla Madonna era Nostra Signora di Lampedusa, nome che mantengono tra l’altro tutti gli altri santuari che da questo prendono origine.
Il 21 settembre del 1967 il popolo di Lampedusa incoronò l’amata immagine di Maria con corone d’oro ricavate dai gioielli che erano stati offerti.
Quest’anno, oltre ai consueti festeggiamenti, si celebra quindi, in modo particolare, il 50° anniversario dell’incoronazione.
Giovedì scorso il nostro vescovo Antonio si è recato proprio a Lampedusa, dove venerdì alle 11 ha presieduto la solenne concelebrazione eucaristica nel santuario mariano, in occasione della solennità della Vergine Maria di Porto Salvo.
Diversi sono infatti gli aspetti che legano la nostra diocesi all’isola siciliana.
La nascita del santuario di Lampedusa di Castellaro è infatti legata ad una storia popolare e in particolare alla figura di un abitante dell’allora borgo di Castellaro.
Si narra che nel 1561, Andrea Anfossi, fatto schiavo dai pirati e caricato su una nave turca, fece scalo nell’isola di Lampedusa e, per approvvigionare di legname la nave, fu mandato nei boschi dell’isola. Qui, in mezzo ad un’abbagliante luce, ritrovò, in una nicchia, una tela ritraente la Vergine Maria. Prospettando la fuga dalla prigionìa, ricavò da un tronco una rudimentale imbarcazione e dalla tela mariana una vela per affrontare il mare aperto e fare ritorno nella terra natìa. La leggenda asserisce che l’Anfossi giunse sulle coste liguri e quindi a Castellaro nel 1602.
Qui fece voto di erigere un santuario per ringraziare la Madonna del pericoloso viaggio, nella località denominata «Costaventosa».
Nel 1619 terminarono i lavori per l’edificazione del santuario mariano e nel 1845 avvenne la solenne incoronazione della Madonna.
Un altro aspetto, purtroppo, lega il nostro territorio a Lampedusa: gli sbarchi dei migranti.
Ecco perché monsignor Suetta ha celebrato la messa solenne con il pastorale che nel 2013, in occasione della sua visita pastorale, fu donato a papa Francesco da Franco Tuccio, falegname di Lampedusa.
Il legno del «vincastro» è stato ricavato dalle «carrette della speranza» dei migranti giunti sull’isola. I colori sono proprio quelli della barca da cui sono stati tratti. Nel braccio orizzontale del pastorale a croce sono incisi due pesci, mentre in quello verticale cinque pani, per richiamare il brano evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, recuperando così le parole di Gesù: «Date loro voi stessi da mangiare».
Il cuore, di colore rosso, racchiuso tra le due braccia della croce, è un richiamo a quella carità che deve sostenere sempre la fatica della croce nella quotidianità della comunità cristiana.