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Omelia del Cardinal Versaldi per San Romolo

13 Ottobre 2019

SAN ROMOLO

13 ottobre 2019 – Sanremo

 Le  letture che abbiamo ascoltato illustrano bene la figura di San Romolo, patrono di questa Chiesa, e gettano piena luce sulle notizie storiche che la tradizione ci ha consegnato. La Chiesa non esita ad attribuire a san Romolo lo stesso titolo con cui Gesù ha definito se stesso: il Buon Pastore che “offre la sua vita per le pecore”. 

  Conviene, dunque, inquadrare la figura di questo Santo Vescovo nel contesto delle parole che Gesù ha proferito solo qualche secolo prima della vita del nostro santo. Gesù traccia un quadro drammatico della situazione in cui vive l’umanità, ma nello stesso tempo assicura  circa l’esito della storia. 

  La drammaticità è rappresentata dall’immagine di un gregge minacciato dal lupo di fronte al quale il mercenario fugge “perché non gli importa delle pecore”. Non si tratta di una situazione storica legata solo al tempo di Gesù, ma di una condizione che attraversa l’intera vicenda umana. La storia umana è segnata da una costante lotta tra le forze del bene e le forze del male come conseguenza del peccato che ha sconvolto fin dall’origine il progetto di Dio. Infatti, l’uomo, creato libero e responsabile di fronte all’amore di Dio, ha scelto di ribellarsi ad esso seguendo l’inganno del tentatore e così da allora si ripete la scena primordiale: nel cuore stesso di ogni creatura esiste questa divisione tra le spinte al bene e quelle al male così che l’uomo è esposto all’inganno e alla perdizione.

  Ma di fronte a questa condizione di fragilità umana, Dio non è rimasto spettatore, ma subito ha promesso il suo intervento in soccorso dell’umanità decaduta per assicurarne la vittoria sul male (Gen 3,15). E questa promessa si è compiutamente adempiuta con la venuta del Verbo in questo mondo nella persona di Gesù che si rivela appunto come il Buon Pastore che viene salvare il gregge minacciato dal lupo ed abbandonato dai mercenari fino a voler dare la propria vita per le sue pecore.

  Ed è importante sottolineare il motivo di tale atteggiamento che contraddistingue il buon pastore: a differenza del mercenario a cui non importa delle pecore, Gesù rivela il volto di un Dio che ama le sue pecore anche dopo che hanno abbandonato il suo ovile: il buon pastore dice:  “conosco le mie pecore”, una conoscenza che nel linguaggio biblico significa una stretta relazione di amore.

  Ci troviamo qui di fronte ad una verità fondamentale per la nostra fede cristiana da cui dipendono tutte le altre verità: siccome Dio è amore, di fronte all’umanità che lo rifiuta, egli trasforma l’amore in misericordia indipendentemente dalla risposta umana. Si tocca qui il vertice dell’amore di Dio, che, come sottolineava Papa Benedetto XVI nell’enciclica Deus caritas est, diventa un “amore appassionato”: “esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia: Dio ama tanto l’uomo che facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore” (n. 10).

  Questo è il cuore del Vangelo, il punto di partenza per credere che il messaggio cristiano è un “buona notizia” e non una dottrina o una serie di obblighi da osservare. Solo se si crede che Dio è questo amore che si sacrifica per convincere i peccatori a convertirsi e lasciare le vie del male per ritornare alla casa del Padre, buono e misericordioso, è possibile poi rispondergli con amore e non con timore e seguirlo nella lotta costosa contro le forze del male non come una rinuncia alla nostra libertà ma come libera scelta di percorre la via della salvezza.

  Questo aveva certamente capito San Romolo che ha risposto alla chiamata del Signore come docile pecora che si lascia salvare dal suo Pastore e che accetta anche di essere inviato a sua volta come Pastore in mezzo al gregge minacciato dai lupi e tradito dai mercenari. L’epoca in cui egli è vissuto, dopo le persecuzioni esterne a cui la Chiesa nascente era stata oggetto, vedeva sorgere al suo interno questi lupi che minacciavano il popolo di Dio. San Romolo con la parola e l’esempio non esitò ad ergersi come difensore della retta fede contro l’eresia ariana accettando di patire le sofferenze che la sua  condotta comportava da parte dei potenti. Possiamo ben dire che San Romolo, sull’esempio di Cristo, ha dato la sua vita per il gregge a lui affidato perché come Cristo, ha amato le sue pecore. Ciò è testimoniato dal fatto che la storia ci consegna : il popolo di Dio di questa terra ha visto in lui proprio il Buon Pastore ed ha ricambiato il suo amore con una devozione crescente nel tempo, ricorrendo alla sua intercessione anche dopo la sua morte ogni volta in cui il pericolo si faceva più grave.

  E come San Romolo, molti sono stati e sono nella Chiesa i Pastori capaci di tale amore verso il popolo loro affidato. Abbiamo sentito nelle altre letture proclamate, come S. Paolo fosse preoccupato per le comunità che egli stesso aveva portato alla fede in Cristo. Molto realisticamente egli non si illudeva che l’adesione alla fede assicurasse la perseveranza a seguire Cristo sulla via della salvezza: “Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci che non risparmieranno il gregge”. E offre se stesso come esempio di resistenza al male dicendosi disposto a patire per il vangelo “per il quale soffro fino a portare le catene come un malfattore”. Non solo, ma esorta il suo discepolo Timoteo a tenere ferma la fiducia che attraverso questa sofferenza nella lotta contro il male si giunge alla vittoria: “Se moriamo con lui, con lui anche vivremo; se perseveriamo, con lui anche regneremo”.

  Insieme alla certezza dell’amore misericordioso ed incondizionato di Dio, quest’altra certezza è a fondamento della nostra fede: attraverso la Croce si giunge alla vittoria non per i nostri meriti, ma per i meriti di Cristo che ha vinto il peccato e la morte.

  L’attualità di queste verità e dell’esempio di San Romolo e di tutti i Santi Pastori che hanno arricchito la storia della Chiesa è quanto mai evidente. Anche ai nostri giorni, specialmente nei paesi di antica tradizione cristiana come il nostro, la fede tramandataci è drammaticamente minacciata. Una minaccia diversa dai tempi di San Paolo e San Romolo, ma non meno insidiosa. Mi riferisco più che ai lupi esterni alla Chiesa (che non mancano, specialmente in alcune nazioni in cui i cristiani sono violentemente perseguitati e martirizzati), alle insidie interne al popolo dei credenti. Infatti, se il secolarismo avanzante che propone una visione del mondo chiusa alla trascendenza e intende il progresso come liberazione dalla dipendenza da Dio inteso come limitazione della libertà umana, è una tentazione forte per molti che finiscono per lasciare la loro fede, è perché si sono affievolite le verità fondamentali su cui si basa la fede cristiana. Si è persa l’immagine vera e genuina del Dio in cui crediamo e che Gesù è venuto rivelarci con la parola e l’esempio. Sì è perso il cuore del Vangelo che è proprio il fondamento su cui deve reggersi tutta la fede e la vita cristiana. Come scrive San Giovanni, il Dio in cui crediamo e che Gesù ci ha rivelato è Amore che si così manifestato: “Dio ha mandato nel mondo il suo Figlio unigenito perché noi avessimo la vita per mezzo di lui”. E contro l’idea di una religione fatto di opere che dovrebbe conquistare l’amore di un Dio Giudice severo, San Giovanni ricorda che “non siamo noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati” 1Gv 4, 8-10). 

  E’ quanto si sforza di richiamare Papa Francesco invitando tutta la Chiesa ad un ritorno all’essenziale della nostra fede per rispondere alle sfide di un mondo chiuso ad una visione immanente ed individualistica.  Nella esortazione apostolica Evangelii Gaudium il Papa invita ad un radicale rinnovamento che porti a riscoprire la gioia del Vangelo e della sequela di Cristo: “Invito ogni cristiano, in qualsiasi luogo e situazione si trovi, a rinnovare oggi stesso il suo incontro personale con Gesù Cristo… Dio non si stanca mai di perdonare, siamo noi che ci stanchiamo di chiedere la sua misericordia” (n. 3).

  Solo riscoprendo queste radici della nostra fede cristiana potremo anche noi, sull’esempio di San Romolo e dei vostri antenati di queste terre, opporci alle insidie dei tempi non con il pessimismo di chi si sente perdente di fronte a forze più potenti, ma con l’ottimismo evangelico di chi crede che Cristo ha vinto il mondo e che il messaggio evangelico è l’unica salvezza del mondo, anche di questo nostro mondo di oggi. 

Certo, come San Romolo, anche noi dobbiamo accettare il prezzo di questa lotta: l’indifferenza, se non l’ostilità di molti e la nostra stessa fragilità. Ma, come San Romolo, abbiamo la certezza che non siamo noi i protagonisti della vittoria, ma solo servitori della Parola che salva in forza dello Spirito del Risorto che ha vinto il male e la morte.

  Invochiamo, dunque, l’intercessione del Santo Pastore di questa terra perché ancora una volta si dimostri padre e pastore del suo gregge che oggi lo venera con devozione. L’Eucaristia che celebriamo ( e che nutrì la vita e animò l’azione pastorale di San Romolo) riassume il mistero dell’amore di Cristo che rinnova il sacrificio della sua vita e si dona attraverso il suo Corpo ed il suo Sangue affinché sia vinto il male in noi e fuori di noi e con la sua grazia possiamo operare il bene e dare così testimonianza della nostra fede nella carità che può convincere il mondo. Così, come Cristo, Buon Pastore, conosce ed ama ciascuno di noi, anche noi, partecipando al mistero della nostra salvezza, possiamo crescere nella conoscenza e nell’amore verso di lui in modo che la nostra vita testimoni che è cosa buona e bella credere nel Dio- Amore per poter essere trovati degni di  entrare nel suo Regno.

AMEN

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