Pronunciata il 17 giugno, durante i funerali solenni in San Siro e a Loano.
Confratelli, Autorità, carissimi Fratelli e Sorelle, grazie di essere qui a condividere con mio fratello, con la mia famiglia e con me la fatica di questo momento doloroso e prezioso nello stesso tempo.
Non è facile per me presiedere questa Eucaristia in suffragio di mia mamma e tanto meno parlare in una situazione carica di sofferenza e di nostalgia: sono convinto però che lo devo a lei per l’affetto, la cura e la pazienza, con cui ha sostenuto il cammino dei figli e dei nipoti che Dio le ha affidato.
In tanti passaggi della vita, fin dall’età più giovane, ho pensato con apprensione a questo momento e ogni anno, nella festa di Santa Monica, leggevo il racconto della sua morte fatto dal figlio Agostino cogliendone tutta la dolce verità insieme al senso di incapacità ad affrontare la perdita della mamma quando sarebbe toccato a me.
Ne cito alcuni passaggi, che illuminano questa triste circostanza:
«Figlio, quanto a me non trovo ormai più alcuna attrattiva per questa vita. Non so che cosa io stia a fare ancora quaggiù e perché mi trovi qui. Questo mondo non è più oggetto di desideri per me. C’era un solo motivo per cui desideravo rimanere ancora un poco in questa vita: vederti cristiano cattolico, prima di morire. Dio mi ha esaudito oltre ogni mia aspettativa, mi ha concesso di vederti al suo servizio e affrancato dalle aspirazioni di felicità terrene. Che sto a fare qui?»... Intanto nel giro di cinque giorni o poco più si mise a letto con la febbre. Durante la malattia un giorno ebbe uno svenimento e per un po’ di tempo perdette i sensi. Noi accorremmo, ma essa riprese prontamente la conoscenza, guardò me e mio fratello in piedi presso di lei, e disse, come cercando qualcosa: «Dove ero»?
Quindi, vedendoci sconvolti per il dolore, disse: «Seppellirete qui vostra madre». Io tacevo con un nodo alla gola e cercavo di trattenere le lacrime. Mio fratello, invece, disse qualche parola per esprimere che desiderava vederla chiudere gli occhi in patria e non in terra straniera. Al sentirlo fece un cenno di disapprovazione per ciò che aveva detto. Quindi rivolgendosi a me disse: «Senti che cosa dice?». E poco dopo a tutti e due: «Seppellirete questo corpo, disse, dove meglio vi piacerà; non voglio che ve ne diate pena. Soltanto di questo vi prego, che dovunque vi troverete, vi ricordiate di me all’altare del Signore » (Dalle Confessioni di S. Agostino Lib. 9, 10-11).
Pur oppresso dal pianto e dalla malinconia, anche a nome di Roberto, credo che il registro più autentico per dare voce a ciò che siamo vivendo, lasciando risuonare nel cuore la Parola di Dio appena proclamata, sia il rendimento di grazie.
Grazie al Signore per averci donato, anche tramite la mamma, l’inestimabile tesoro della fede. Oggi presto a lei la voce e il cuore per dire ancora al Signore la speranza cristiana, che l’ha sempre guidata nelle circostanze serene e avverse della vita, e che noi abbiamo imparato a gustare vedendo come il riferimento al Vangelo, alla Chiesa, alla vita eterna e alla risurrezione l’abbia sempre aiutata a superare sia la dura fatica del lavoro e della responsabilità, che l’hanno accompagnata fin dalla tenera fanciullezza, sia le dure prove come la prematura scomparsa di nostro padre, le preoccupazioni per la famiglia, le malattie e i lutti.
Non siamo mai stati tristi o scoraggiati in famiglia perché la mamma non ha mai vacillato, o almeno non ce lo ha mai dato a vedere. La sua famiglia di provenienza soprattutto, e anche la nostra, ha sperimentato la povertà, ma non ci è mai mancato nulla sia perché la Provvidenza ha dato puntualmente soccorso e fiducia sia perché la mamma si è sempre adoperata per garantirci una vita buona nell’educazione, nello studio, nelle necessità della vita. Ci ha sempre fatto gustare le feste, anche con poche risorse, ma con tanto amore.
Si è sempre guadagnata da vivere con il sudore della fronte e il lavoro duro della campagna, senza perdere mai la capacità di sorridere, di scherzare e di godere di tante cose belle. Non ha lasciato nulla al caso, ma, con prudente e umile laboriosità, ha dato alla sua famiglia sicurezza e pace.
Non le è mai mancato nulla, ma è stata una persona davvero povera, sotto tanti aspetti; ed è questa l’eredità di cui andiamo più fieri. La sua povertà è stata colmata dal Signore, che le ha dato intelligenza, cuore, perseveranza e fiducia. Ci ha insegnato ad accogliere, a perdonare, a vivere la tenerezza delle relazioni e ad essere semplici: non so se l’abbiamo imparato bene, ma il suo esempio è stato davvero formidabile.
Ci ha insegnato la responsabilità nei confronti della vita richiamandoci al senso del dovere, dell’onestà e del rispetto verso tutti. Ci ha sempre mostrato come prendere sul serio la fede, abbandonandosi fino all’ultimo alla volontà di Dio e alla fiducia in lui.
Quando è rimasta sola per la morte di papà ha dedicato l’intera sua esistenza ai figli e al compito rimasto soltanto sulle sue spalle; sola non è mai stata perché ha fatto della vedovanza un tempo per Dio e per la sua famiglia, sperimentando un gusto di vivere e una forza interiore, che ancora oggi ci sembra al di là delle umane possibilità.
Ha chiuso la sua vita come regolarmente concludeva ogni giornata: serena, soddisfatta, umile e fiduciosa nell’intimità della sua casa e della sua famiglia.
Grazie a Dio e grazie alla mamma per essersi fidata così.
È tanto duro ora il distacco, ma è anche una grande consolazione consegnare la sua anima e tutta la sua vita nelle mani di Dio, che ci ha sempre insegnato a riconoscere come Padre buono e degno di fiducia. Crediamo fermamente, e per questo preghiamo, che ogni dolore, ogni fatica e ogni dovere fedelmente compiuto ora troverà smisurata ricompensa nella gioia di Dio, mentre noi con tristezza affidiamo alla terra il suo corpo nell’attesa della beata risurrezione.
La fiducia che ci ritroveremo ad abitare per sempre nella casa del Padre mitiga il tormento di questo distacco e, richiamandoci all’esigenza di una vita onesta e santa, ci fa guardare non soltanto con confidente pace al nostro definitivo passaggio, ma accende in noi una timida, misteriosa e desiderosa attesa. Non è malinconico scoraggiamento; credo sia piuttosto l’ultimo regalo della mamma, che ci accompagnerà sempre fino a quando potremo rivederla e riabbracciarla per sempre insieme al papà e alla ormai nutrita schiera di fratelli e sorelle con cui ci siamo scambiati i doni della fede e della benevolenza.
Addio dunque, e arrivederci: lo diciamo con gli occhi gonfi di lacrime, ma con la sicura speranza che Dio è fedele e compirà la sua promessa.
Cara mamma, Santa Rita ti accompagni, la Madonna, da te sempre teneramente amata, ti abbracci e ti copra di baci.
+ Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – San Remo