OMELIA FESTA PATRONALE DI SAN SECONDO 2017
mons. Antonio Suetta
Vescovo di Ventimiglia – Sanremo
La solenne celebrazione patronale di San Secondo ci offre l’opportunità di accogliere la parola esigente del Vangelo sostenuti dall’esempio concreto e dall’intercessione di uno degli innumerevoli martiri della Chiesa, che sempre, ieri e oggi, esprime frutti di testimonianza eroica.
Le parole di Gesù – “chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” – ci interpella sulla consistenza della nostra vita di fede e sull’impegno di annunciare il Vangelo senza vergognarsi del Figlio dell’uomo e del suo messaggio.
Incoraggiati dall’apostolo Pietro, “non ci sgomentiamo per paura di chi ci perseguita, né ci turbiamo… pronti sempre a rispondere a chi domandi ragione della speranza che è in noi”.
L’antica vicenda di San Secondo, soldato romano della Legione Tebea, rappresenta anche per noi un paradigma ineludibile della vita cristiana, che si esprime anche come pacifica battaglia per il Vangelo.
Oltre alle esplicite e cruente persecuzioni che i cristiani subiscono in molte parti della terra, oggi dilaga una mentalità che subordina la legge perenne del Vangelo al “dialogo” mutevole con il mondo. Dietro questo modo di pensare c’è una concezione del mondo autosufficiente che non sa più e non vuole riconoscere il valore fondamentale e immutabile della Parola di Dio cedendo al fascino del divenire e facendo dell’esperienza soggettiva dell’uomo il criterio unico della realtà: non sono i princìpi che giudicano la vita dell’uomo, ma è la concreta esperienza di vita dei singoli che vorrebbe vagliare la verità dei princìpi. Così predica la cultura dominante, così propaganda la maggior parte dei media e in questa direzione lavorano alacremente lobbies di pensiero e gruppi vari di azione nella società; già lo diceva Gesù: “I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce” (Lc 16, 8).
Tutto dunque diventa relativo e si combatte chi invece affida la propria vita alla consistenza del messaggio evangelico.
San Secondo, attingendo anche dalla sua formazione militare, è stato un difensore coraggioso della fede, non ha indietreggiato di un passo, fedele alla consegna fino alla morte.
Trovo bello commentare la testimonianza di San Secondo con una riflessione di San Giovanni Crisostomo, quasi coevo di San Secondo:
“La croce ha esercitato la sua forza di attrazione su tutta la terra e lo ha fatto servendosi non di mezzi umanamente imponenti, ma dell’apporto di uomini poco dotati.
Il discorso della croce non è fatto di parole vuote, ma di Dio, della vera religione, dell’ideale evangelico nella sua genuinità, del giudizio futuro. Fu questa dottrina che cambiò gli illetterati in dotti.
Dai mezzi usati da Dio si vede come la stoltezza di Dio sia più saggia della sapienza degli uomini, e come la sua debolezza sia più forte della fortezza umana. In che senso più forte? Nel senso che la croce, nonostante gli uomini, si è affermata su tutto l’universo e ha attirato a sé tutti gli uomini. Molti hanno tentato di sopprimere il nome del Crocifisso, ma hanno ottenuto l’effetto contrario. Questo nome rifiorì sempre di più e si sviluppò con progresso crescente. I nemici invece sono periti e caduti in rovina. Erano vivi che facevano guerra a un morto, e ciononostante non l’hanno potuto vincere. Perciò quando un pagano dice a un cristiano che è fuori della vita, dice una stoltezza. Quando mi dice che sono stolto per la mia fede, mi rende persuaso che sono mille volte più saggio di uno che si ritiene sapiente. E quando mi pensa debole non si accorge che il debole è lui. I filosofi, i re e, per così dire, tutto il mondo, che si perde in mille faccende, non possono nemmeno immaginare ciò che dei pubblicani e dei pescatori poterono fare con la grazia di Dio” (Omelie).
È molto importante che noi cristiani viviamo nel contesto della società attuale con una rinnovata consapevolezza di fede, che ci impedisca di smarrire il sale, il lievito e la luce del Vangelo e che soprattutto ci faccia annunciatori forti e miti della Parola che salva.
Siamo esposti a tante minacce per la fede e dobbiamo lottare coraggiosamente e sapientemente per rimanere saldi.
La preghiera di Mardocheo, ascoltata nella prima lettura, risuoni ancora sulle nostre labbra e ci ottenga dal Signore la forza e l’intelligenza per “non porre la gloria di un uomo al di sopra della gloria di Dio e di non prostrarsi mai davanti a nessuno, se non davanti a lui”.
È la grande sfida che oggi ci attende e, come ci suggeriva l’apostolo Pietro, dobbiamo farlo “con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché nel momento stesso in cui si parla male di noi rimangano svergognati quelli che malignano sulla nostra buona condotta in Cristo” (cfr. 1 Pt 3, 16).
Papa Francesco ricorda spesso che la vera missione non è mai proselitismo, ma attrazione a Cristo, e dunque non si tratta di fare propaganda, ma di accogliere il Vangelo come guida sicura della propria vita e di testimoniarlo così, con l’esempio prima di tutto, ma anche con una coscienza critica di fronte a tanti errori che oggi dilagano e disorientano l’umanità.
Abbiamo spesso timore che la nostra tradizione cristiana sia minacciata da altre fedi, con le quali veniamo a contatto; purtroppo talvolta questa paura viene anche brandita come pretesto per rifiutare accoglienza e soccorso a chi ha bisogno ed è diverso per colore della pelle, per lingua, cultura e religione: noi viviamo intensamente questa esperienza sul territorio nel contesto del fenomeno migratorio, che da alcuni anni coinvolge significativamente la nostra città.
In realtà, come ci testimoniano i martiri di ieri e di oggi, il contatto con altre religioni o culture, non è in se stesso pericoloso, anzi spesso diventa opportunità di irrobustimento e di annuncio.
Il vero pericolo sta nel perdere la gioia e la forza della fede annacquandola con il pensiero del mondo che vorrebbe omologarla svuotandola e facendola apparire come “incredibile”; spesso di fronte a ciò che non capiamo o non cade sotto l’esperienza diretta noi affermeremmo che è “incredibile”, ma se ci legassimo ostinatamente a questa affrettata conclusione ci precluderemmo la conoscenza di molte realtà vere e buone.
Così è anche la fede; essa “è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono”, come afferma la lettera agli Ebrei. (11, 1): la vita del cristiano è “incredibile” agli occhi e per la mentalità del mondo, ma risponde profondamente all’anelito di ogni cuore, anelito di bene, di verità, di giustizia e di gioia. Nemico del vero non è il falso, quello lo riconosciamo subito, ma il verosimile: la nostra cultura è invasa di surrogati, che promettono, ma non possono dare la vera felicità.
Ci aiuti san Secondo a fissare lo sguardo ed il cuore su ciò che davvero conta e, sulla scia dell’ammonizione evangelica – “che giova all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?” – ci insegni a puntare al vero premio, quello che non marcisce, e che consiste nel fatto che “quando il Figlio dell’uomo verrà nella gloria sua e del Padre e degli angeli santi non si vergognerà di noi”.