Omelia Ordinazione Diaconale
Roma, Collegio Mater Ecclesiae, 8 maggio 2021
Carissimi Confratelli Presbiteri e Diaconi, carissimi Fedeli,
mentre ringrazio per l’invito a presiedere questo sacro Rito di Ordinazione Diaconale,
desidero condividere con tutti i presenti una straripante gioia del cuore per lo straordinario
momento di grazia, e un intenso rendimento di grazie per quello che l’amore di Dio opera per la
Chiesa e per il mondo intero attraverso la fiducia di chi a lui si consegna.
L’istituzione dei Diaconi, come abbiamo ascoltato, nasce da una contingente necessità di
servizio, ma immediatamente conduce gli Apostoli a riconoscere nella preghiera e nell’annuncio
della Parola il “proprium” della loro vocazione, e agli eletti permette di inoltrarsi in una
straordinaria avventura, che li condurrà dal servizio delle mense al dono totale della vita,
sull’esempio di Colui che “non è venuto per essere servito, ma per servire” (Mt 20, 28).
Carissimi fratelli scelti per l’Ordine del Diaconato, la grazia di questo sacramento si innesta
nella vostra risposta all’invito del Signore a spendervi senza riserve per l’edificazione del suo
Regno, e vi conforma al Signore Gesù, povero e servo di tutti. A Dio piacendo proseguirete verso il
Presbiterato, ma il dono di questo passaggio vi segnerà indelebilmente e darà forma, non senza la
vostra cooperazione, ad un’esistenza splendida, pensata con originale disegno d’amore per ognuno
di voi; una storia imprevedibile, che supererà ogni capacità di aspettativa, di domanda e di
desiderio. Dio vi sorprenderà sempre e farà traboccare il vostro cuore di gioia e di consolazione per
fare di ognuno di voi una sorgente, cui potranno dissetarsi molti viandanti che incontrerete strada
facendo.
Il Signore fedele adempirà la promessa percepita all’origine della vocazione e scandita da
ogni “si” consegnato alla sua Chiesa: per voi il centuplo e la vita eterna (cfr. Mt 19, 29).
Lo farà secondo la sua insondabile sapienza e secondo i suoi imperscrutabili disegni, non secondo
logiche umane o prospettive terrene.
Il testo paolino proclamato nella seconda lettura ci ha ricordato che “l’amore del Cristo ci possiede”
e che “quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro” (2
Cor 5, 14). Opportunamente questo richiamo, vero e valido per ogni battezzato, è per noi, ministri
del Signore, un sigillo di autenticità, consapevolezza profonda che, “passate le cose vecchie, ne
sono nate di nuove” (ibidem). E così il Signore compirà i suoi disegni e le sue promesse a modo
suo: vi farà passare per la strada oscura e feconda del sacrificio.
L’ordinazione diaconale si concluderà con la consegna del libro dei Vangeli, ponendo così in
evidenza il compito assegnatovi di ministri della Parola; vi ricordo con le espressioni dell’Apostolo
che non vi dovrete “vergognare mai del Vangelo poiché è potenza di Dio per la salvezza di
chiunque crede” (cfr. Rm 1, 16); ed è questo il modo per “non guardare più nessuno alla maniera
umana” (II lettura). Il servizio di cui oggi venite investiti non è una mera funzione e non vi chiede
di essere “operatori pastorali”, come va di moda oggi dire, ma piuttosto vi consacra, cioè vi
“separa” affinché tutta la vostra esistenza sia spesa per il Vangelo e di esso sia testimonianza
concreta.
Innanzitutto siete “consacrati nella verità” (Gv 17,17) in ragione di una speciale appartenenza a
Cristo, che non soltanto vi rende partecipi della sua vita e del suo destino, ma vi abilita ad agire
nella sua persona. Questa missione corrisponde ad una finalità essenziale del mistero
dell’Incarnazione del Verbo divino “luce vera, venuta nel mondo per illuminare ogni uomo” (cfr.
Gv 1, 9), e specialmente oggi, in una società in gran parte secolarizzata, rappresenta una vera e
propria responsabilità, su cui dovrete impegnare il vostro servizio a Cristo e alla Chiesa. Diacono
significa servo, servizio indica offerta di sé, benevolenza, affabilità, disponibilità, aiuto solidale,
prossimità e accompagnamento; non dimenticate però che il primo e più grande servizio che siete
chiamati a rendere ad ogni uomo è il servizio della verità, ricordando le parole di Gesù: “Che
giova infatti all’uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?” (Mc 8, 36).
Gli uomini del nostro tempo sono esposti a tanti pericoli e sono disorientati da visioni della vita
assolutamente lontane dal Vangelo e spesso in aperto contrasto con esso. Prendete a modello la
sollecitudine dell’Apostolo Paolo, che, salutando a Mileto gli anziani della Chiesa di Efeso, così parlava:
“Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato, tra le
lacrime, di ammonire ciascuno di voi. E ora vi affido a Dio e alla parola della sua grazia, che ha la
potenza di edificare e di concedere l’eredità fra tutti quelli che da lui sono santificati. Non ho
desiderato né argento né oro né il vestito di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e di quelli
che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli
si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: «Si è più
beati nel dare che nel ricevere!»” (At 20, 31-35).
Un’attitudine del genere sarà frutto di piena adesione al progetto di Dio per voi e dell’accoglienza
generosa del suo dono di grazia; inoltre vi renderà particolarmente luminosi nella buona
testimonianza di Lui, secondo quanto ci ha ricordato Gesù.
Non dimenticate che il testo immediatamente precedente la pericope evangelica proclamata in
questo sacro rito, che ne costituisce la premessa di racconto e di pensiero, narra di tipiche fragilità
umane come la richiesta di un posto speciale per i figli formulata dalla madre dei figli di Zebedeo e
la discussione che ne è seguita in seno al gruppo dei Dodici. Evenienza paradossale e ridicola,
soprattutto considerando che accade mentre il Maestro sta parlando della sua passione. Gesù
tuttavia coglie al volo quel momento di debolezza e richiama i suoi discepoli a rinnovare un
impegno: “Potete bere il calice che io sto per bere?”, ed essi rispondono: “Lo possiamo” (Mt 20,
22).
Cari amici, anche voi berrete al calice del Signore; lo farete quotidianamente accostandovi per
servire al suo altare; sappiate che questa formidabile occasione di intimità con Gesù è perché egli
vuole il dono incondizionato e indiviso di tutta la vostra vita. Da voi si attende anche la pazienza
nelle avversità e nella persecuzione, fino allo spargimento del sangue se fosse necessario.
So che oggi anche voi come i Dodici risponderete: Lo possiamo; lo farete con le promesse, lo farete
stendendovi a terra per implorare la misericordia di Dio e lo farete separandovi dal popolo santo di
Dio, per ritornarvi come ministri del Vangelo e della sua grazia.
Non vi spaventi la giusta consapevolezza che “abbiamo questo tesoro in vasi di creta” (2 Cor 4, 7)
e abbiate oggi e sempre il coraggio gioioso di strappare qualunque programma di vita predisposto
per firmare in bianco, generosamente, il contratto, che vi propone il Signore.
Cari fratelli, a nome della Chiesa tutta vi ringrazio per la disponibilità offerta e ringrazio i vostri
genitori, che, insieme a me, oggi vi presentano al Signore e vi offrono a Lui per la missione alla
quale vi ha chiamati.
Grazie ai sacerdoti che avete incontrato sul vostro cammino e ai formatori che vi hanno
accompagnato fin qui. Grazie alle persone che hanno pregato per voi, anche senza conoscervi, e ai
tanti sofferenti che offrono il loro patire al Signore per implorare il dono di sante vocazioni alla
Chiesa.
Un pensiero particolare alle vostre Chiese e ai vostri Vescovi, con i quali in forza di questa
ordinazione mi sento più sensibilmente in comunione.
È molto bello cogliere insieme questa dimensione di popolo, la grande famiglia dei figli di Dio, ed è
davvero importante che continuiate a vedere nella Chiesa non un’organizzazione, purtroppo segnata
da manchevolezze e fragilità umane, ma piuttosto una calda e accogliente casa ed una bellissima
sposa, che oggi vi viene incontro come un segno di quel centuplo promesso da Gesù a chi
scommette sulla sua parola (cfr. Mt 19, 29).
Amate la Chiesa, amatela come madre e come sposa; la beata Vergine Maria, Mater Ecclesiae,
volga su di voi il suo materno sguardo e vi accolga sotto il suo manto, vi attiri con la sua bellezza e
con la sua fede, vi soccorra quando la tentazione della sfiducia o la nostalgia di qualcosa, che avete
deciso di abbandonare per sempre, assaliranno il vostro cuore.
Sia lei a rassicurarvi sempre della fedeltà di chi vi ha scelti e chiamati e vi faccia esplodere il cuore
dell’esperienza della tenerezza di Dio affinché possiate spanderla a piene mani sulle ferite di ogni
uomo, in cui sempre riconoscerete “un fratello per il quale Cristo è morto” (cfr. Rm 14, 15).
+ Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – San Remo