Sanremo, Basilica Concattedrale di San Siro, 13 ottobre 2024
Reverendi Confratelli Presbiteri e Diaconi, Signor Sindaco, distinte Autorità civili, militari e politiche, Signor Presidente della Famija Sanremasca, Associazioni d’Arma e di Volontariato, Seminaristi, Religiosi e Religiose, cari fratelli e sorelle,
il nostro santo patrono, nato tra il IV – V secolo probabilmente in questo lembo di Liguria, all’epoca denominato Villa Matutiae e qui formatosi al sacerdozio, divenne Vescovo di Genova, da dove fece ritorno in questa zona a causa delle devastazioni longobarde e, poiché l’estremo ponente era esposto a incursioni e saccheggiamenti da parte dei saraceni, non esitò ad organizzare la difesa della città. Per questa ragione viene rappresentato non soltanto con le insegne episcopali, espressione del suo ministero pastorale, ma anche con la spada. Rimase volentieri in questa terra per promuovere e rinvigorire la fede cattolica della popolazione e curarne la formazione spirituale. Dimorò in una grotta – la famosa bauma di San Romolo – per assicurarsi una vita di preghiera e meditazione. La sua sepoltura, meta di devozione, è all’origine di questo luogo sacro, anche se più tardi le sue spoglie mortali sono state traslate a Genova.
La spada che accompagna l’iconografia di San Romolo per noi, oggi , va al di là del suo impegno a baluardo di questa terra per ricondurci al passo biblico relativo alla Parola del Signore: “la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4, 12).
Il ministero fedele e coraggioso di san Romolo ci invita infatti ad una lettura sapienziale di questo tempo e di questa stagione ecclesiale. Fatte le debite distinzioni dal punto di vista storico, possiamo riconoscere che oggi, come ai tempi di San Romolo, la fede cattolica appare irrilevante. La tentazione di mimetizzarla con il pensiero corrente assumendone tematiche ossessivamente ricorrenti ha dilagato sempre di più nell’ultimo secolo senza portare frutti apprezzabili, anzi dando l’impressione drammatica di precipitarla verso l’estinzione.
La Sacra Scrittura non permette equivoci nell’affermare che il mondo è nemico di Cristo e quindi anche del suo pensiero, assolutamente estraneo ad accomodamenti e compromessi. Oggi, come ai tempi di San Romolo, la voce della Chiesa non viene riconosciuta come autorevole perché custode della verità rivelata da Cristo, ma la si vorrebbe costretta ad inserirsi nel generale dibattito come una delle tante opzioni possibili; così la missione di annunciare il Vangelo della salvezza appare difficile. Ma non impossibile. La ragione di ciò è anche abbastanza logica ed evidente: una cultura materialista, come quella dominante si concentra sulla ricchezza e sul consumo e – lo capiamo benissimo – da questo punto di vista, economicamente la cultura cattolica vale zero. Di più: non c’è posto nel mondo per chi lo combatte.
Un’ulteriore complicanza deriva da una questione di comunicazione: il credente vero sembra parlare un’altra lingua; spesso l’interlocutore comprende esattamente l’opposto, giudicando la dottrina cristiana superata e fondamentalista, rispondendo così con l’indifferenza o muovendo guerra ad un pensiero ritenuto ormai inaccettabile. Capita spesso che la proclamazione delle verità evangeliche sia interpretata come ostacolo alla libertà delle persone. Mancano purtroppo le minime premesse comunicative, che attengono allo sforzo fecondo di indagare razionalmente le grandi questioni della vita.
Siamo spesso esortati a frequentare le periferie esistenziali per portare l’annuncio del Vangelo; in realtà, sotto il profilo culturale, oggi dobbiamo prendere atto che la fede è già essa stessa “in periferia”, in quanto il centro è già occupato, direi anche usurpato, da scippatori della speranza, che privano l’uomo della possibilità di cambiare vita costringendolo nella tenebra del peccato con il banale ritornello di un Dio “che ti ama come sei” a fronte del fatto che invece il Padre buono e misericordioso ha mandato il suo Figlio per mostrare all’uomo la via della verità e donargli la possibilità di una vita buona. A centro ci sono gli scippatori della verità, che con coscienza sporca, hanno inquinato anche la coscienza degli altri con la illusoria convinzione che ciò che pare buono, allora buono lo è per forza e davvero. La chiamiamo società liquida e non pensiamo più all’impegno di darle invece forma con le linee del Vangelo.
Eppure. C’è un eppure. Ed è quello intuito e perseguito da San Romolo: egli non si è scoraggiato per la difficoltà del suo tempo intriso ancora fortemente di paganesimo, destabilizzato da invasioni barbariche e, per quanto riguarda il contesto ecclesiale, agitato dall’eresia ariana.
Il nostro Santo innanzitutto ha creduto e vissuto con intensità la parola della fede, annunciandola con franchezza e rendendola visibile nel servizio pastorale e nel soccorso dei più deboli ed esposti.
San Romolo è stato sapiente e provvido custode della cultura cristiana, in quell’epoca i monaci conservarono la cultura classica e la medesima cultura cristiana mentre il mondo attorno a loro implodeva. I monasteri, si sa, divennero centri che brillavano nel buio della devastazione provocata dalle invasioni barbariche. Il termine “barbaro” deriva del greco e significa “balbettante”: ossia lo straniero per i greci era colui che balbettava la lingua greca, che non sapeva parlarla bene. Il barbaro oggi non sa parlare per nulla bene la lingua della fede, della verità, della carità. Noi allora dobbiamo vivere come monaci tra barbari.
E così ogni volta che tentiamo di trasmettere le verità della fede e di promuoverne le buone prassi, quando insegneremo che è meglio non convivere con scelte mediocri, ma sempre puntare all’eccellenza quando si tratta di amore, di giustizia e di felicità; quanto proveremo a dire che chi si vergogna di Cristo, Cristo si vergognerà di lui; ogni volta che faremo una di queste cose non dovremo pensare che il nostro interlocutore venga persuaso dalla bontà dei nostri ragionamenti – in un mondo dove si ragiona poco, l’intelletto è spesso un tasto muto – bensì ritenere che agendo così stiamo conservando il seme buono sottoterra come un tesoro che un giorno qualcun altro dissotterrerà. Se non lo faremo, non rimarrà nulla della buona novella domani.
Questo è il nostro compito: noi dobbiamo diventare memoria per il futuro, memoria del futuro.
La storia, sempre guidata da Dio nonostante i turbamenti della libertà umana, ha dato ragione a San Romolo tanto che questa terra, allontanatasi finalmente dal paganesimo incominciò, dopo qualche secolo, a riconoscersi nell’opera di questo santo vescovo e di tanti altri buoni testimoni arrivando a cambiare anche il nome: dal pagano Villa Matutiae al cristiano Castrum Sancti Romuli.
Non tratta di dettagli, ma di identità.
Accompagni anche noi San Romolo, accompagni questa Città, cittadini ed amministratori, e incoraggi tutti a custodire con fedeltà il tesoro della fede tramandato dai padri con la lungimiranza della speranza cristiana, che ci assicura anche oggi che “questa è la vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede” (1 Gv 5, 4).
+ Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – San Remo