Diocesi Ventimiglia – Sanremo

sito della Diocesi di Ventimiglia Sanremo

Musica Sacra – Incontri con Suor Elena Massimi

PerCorso: Itinerario Giubilare a Sanremo

Liturgia Vescovo

Omelia per San Romolo – “Riscegliere Cristo, nella Città di Dio”

13 Ottobre 2023

Pronunciata il 13 ottobre 2023, nella Concattedrale di San Siro in Sanremo

Eccellenza Reverendissima, Eccellenza, Signor Prefetto, Signor Sindaco, Signor Questore, Distinte Autorità civili, militari e politiche, Confratelli Presbiteri e Diaconi, Religiosi e Religiose, Cari Seminaristi, Associazioni Culturali, d’Arma e di Volontariato, Confraternite, Cittadini e Fedeli carissimi, benvenuti a questa santa e solenne celebrazione liturgica e buona festa patronale.

Siamo raccolti nella gioia e nella comune devozione al Santo Patrono, il Vescovo Romolo, che ha concorso all’identità storica di questa Città assicurandole un formidabile patrocinio in ogni momento drammatico come la peste del 1658, la rivoluzione del 1753 e l’ultimo conflitto mondiale, tanto da essere venerato come “defensor civitatis”.

Il 13 ottobre lo celebra nel momento supremo della “nascita al cielo” avvenuta nella sua “bauma” a sigillo di un intenso legame con questo territorio, che ne ha segnato sia la formazione al sacerdozio sia il ministero episcopale.

La sua vicenda terrena si colloca tra il IV e V secolo, marcata dalla persecuzione ariana e dalla pressione delle invasioni barbariche.

Proprio questo riferimento mi porta a situarlo nel contesto più generale del tempo e delle rovinose vicende dell’Impero romano esposto alla violenta invasione dei  Goti di Alarico; nel 410 infatti avvenne il tremendo sacco di Roma e certamente anche la nostra terra, allora forse meno periferica di oggi, ha risentito drammaticamente di quegli angosciosi momenti. San Girolamo, da Betlemme, nel 410 esclamava così : Roma è caduta! La fine del mondo è vicina! (Lettere 127, 12).

A San Romolo dobbiamo attribuire un decisivo passaggio per questo territorio, essendosi verificato che per la sua straordinaria influenza l’antica Villa Matuzia prese a chiamarsi Civitas o Communitas Sancti Romuli con una sempre più crescente consistenza cristiana; vorrei lasciare dunque la parola ad un grande santo a lui contemporaneo, il grande Agostino, vescovo di Ippona, che, proprio dopo il sacco di Roma del 410 mise mano a comporre la monumentale opera teologica De Civitate Dei.

Nei 22 libri di tale capolavoro l’autore, intendendo difendere i cristiani dall’accusa di aver provocato il disastro a motivo del loro rifiuto di sacrificare agli dei pagani e ai demoni, delinea l’origine, il percorso, la sinergia e il destino di due città: la città dell’uomo e la città di Dio.

Un passaggio cruciale del testo si trova in questa mirabile sintesi: “due diversi amori hanno fatto due città, e cioè l’amor proprio fino al disprezzo di Dio, quella terrena, mentre l’amore di Dio fino al proprio disprezzo quella celeste. Perciò la prima si gloria in se stessa, la seconda nel Signore” (L. 18).

Le due città camminano insieme nel corso della storia non dividendo l’umanità in blocchi contrapposti e belligeranti, ma conducendo al pieno compimento del disegno divino. La città di Dio è pellegrina tra gli empi, senza tuttavia condannare a priori i pagani, di cui sa riconoscere i frammenti di verità e coglie i punti di contatto con il vangelo, che di un umanesimo autentico costituisce come un humus fecondo.

Il procedere delle due città è accomunato dall’esperienza della fatica e delle tragedie della storia in tensione verso un approdo; Sant’Agostino mostra come, sotto la medesima sofferenza, non siano la stessa cosa la virtù o il vizio “come l’oro che nel fuoco rosseggia, mentre la paglia viene distrutta”.

Ai pagani, che vorrebbero addebitare ai cristiani il disastro in ragione del rifiuto di adorare gli dei, spiega invece, cita il romano Scipione Nasica, il quale aveva ammonito i romani di non lasciarsi corrompere e depravare dal benessere: “uno stato non è felice perché le mura restano salde mentre i costumi crollano” (L. 1).

Nella città di Dio la vittoria è la verità, la dignità è la santità, la pace è felicità, la vita è l’eternità. In questa città re è la verità, legge è la carità, misura, criterio di giudizio è l’eternità.

Si domanda acutamente Agostino che cosa siano i regni, tolta la giustizia, se non una banda di ladri.

La dedizione di San Romolo ed il suo esempio di pastore secondo il cuore di Cristo, hanno dato radici sane alla nostra storia indicando nel culto cristiano al vero Dio e nella santità della vita la via maestra e sicura per il conseguimento del bene, della felicità e della pace.

Sempre Sant’Agostino ricordava come quando è in alto verso Dio il nostro cuore è il suo altare e che a Dio offriamo sacrifici di lode affinché non subentri in noi un’ingrata smemoratezza per l’accumulo dei tempi.

A questo vero bene dobbiamo essere condotti da chi, nella società e nella Chiesa, ha la responsabilità di guida e pastore, come abbiamo potuto ascoltare dalla Parola di Dio: chi ci ama davvero deve condurci a questo bene. A questo bene dobbiamo condurre le persone che amiamo: è questo il vero slancio missionario. Lo dico anche citando il motto della Giornata Missionaria Mondiale di domenica 22 ottobre: “Cuori ardenti, piedi in cammino”.

La stessa misericordia o carità verso l’uomo non avrebbe senso compiuto se non come sacrificio offerto a Dio.

In questa festa di San Romolo il nostro celeste patrono richiami ancora questo popolo e questa città alla sua profonda e innegabile identità cristiana, nonostante la confusione e l’oblio verso cui ci trascina un’assurda e violenta scristianizzazione.

San Romolo interceda perché rifiorisca la religione in questa civiltà, che sta perdendo Gesù nella dimenticanza e nella trascuratezza.

La parola religione significa “riscegliere”; la luce di Cristo e del suo Vangelo torni a risplendere per questa umanità smarrita e delusa regalandole la vera libertà e facendole comprendere che il male non è un bene “diverso”, più comodo e più semplice da conseguire, ma è piuttosto la privazione della vera consistenza umana. Sempre Agostino ricorda come il male non sia nelle cose, ma nell’animo dell’uomo perché principio del male è la superbia, l’orgoglio che gli fa presumere di poter far a meno di Dio. Spiega che “l’avarizia non è vizio dell’oro, la lussuria non è vizio della bellezza, la superbia non è vizio del potere, ma che questi vizi sono piuttosto difetto del cuore dell’uomo” (cfr. L. 12).

Anche di fronte alla devastazione della guerra sempre più dilagante e feroce, dobbiamo riconoscere con il santo vescovo di Ippona che “questo genere umano è tanto pieno di discordie per vizio, ma tanto sociale per natura” (L. 12): ecco il vero tema della polis in una prospettiva cristiana, così lontano e differente dal famigerato “homo homini lupus”, espressione di pessimismo coniata da Plauto in riferimento all’egoismo umano e poi assunto dal filosofo Hobbes quasi come uno statuto imprescindibile della convivenza umana.

Preghiamo il santo patrono Romolo affinché ci accompagni a “riscegliere” Cristo come pietra fondamentale per la vita di ognuno e della comunità, ricordando che “credere è preferire”, decidersi sulla parola del vangelo, assumere il riferimento della fede come criterio di giudizio e di scelta.

Ricordava Benedetto XVI nell’Udienza generale 3.9.2008 che “sulla strada di Damasco, nei primi anni 30 del secolo I°, e dopo un periodo in cui aveva perseguitato la Chiesa, si verificò il momento decisivo della vita di Paolo… Certo è che là avvenne una svolta, anzi un capovolgimento di prospettiva. Allora egli, inaspettatamente, cominciò a considerare “perdita” e “spazzatura” tutto ciò che prima costituiva per lui il massimo ideale, quasi la ragion d’essere della sua esistenza (cfr Fil 3,7-8). Che cos’era successo?… un incontro, un reale rinnovamento che ha cambiato tutti i suoi parametri… ciò che prima era per lui essenziale e fondamentale, è diventato per lui “spazzatura”; non è più “guadagno”, ma perdita, perché ormai conta solo la vita in Cristo”.

Rinnovando a tutti l’invito ad un profondo rinnovamento della vita cristiana, personale e comunitaria, concludo citando l’interessante motto scorto qualche giorno fa andando a benedire lo stadio cittadino della sanremese: “crederci è esserci”. Vale anche per la vita di fede!

+ Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – San Remo

WP2Social Auto Publish Powered By : XYZScripts.com