Sanremo, 13.10.2020
Carissimi Fedeli, Confratelli, Ordinandi e distinte Autorità, a tutti un cordiale e affettuoso saluto accompagnato dall’augurio di una buona festa di San Romolo Patrono della nostra Città di Sanremo.
La celebrazione odierna, ancora limitata da norme sanitarie dettate dalla pandemia in corso, vedrà il tradizionale atto di affidamento compiuto dal Sindaco con l’accensione della lampada al Santo Patrono, i doni simbolici presentati dalla Famija Sanremasca insieme alla lapide, che verrà posizionata in basilica, e l’ordinazione di due nuovi diaconi permanenti a servizio della Chiesa di Ventimiglia – San Remo.
La solenne circostanza, che siamo chiamati a vivere nella gioia della fede, presenta ancora una volta alla nostra contemplazione e imitazione la figura del santo vescovo Romolo, che in questa terra ha ricevuto la formazione al sacerdozio divenendone protettore soprattutto dalle invasioni dei barbari e guadagnandosi il titolo di “defensor civitatis” non soltanto per quanto ha compiuto in vita, ma anche per la costante protezione per la città come nella peste del 1658, nella rivoluzione del 1753 e negli ultimi eventi bellici della seconda guerra mondiale.
San Romolo ci appare come una formidabile immagine di Gesù buon pastore, che, come abbiamo ascoltato dalla pagina evangelica, “vedendo venire il lupo non fugge abbandonando le pecore”; egli, secondo le parole di San Paolo, “ha saputo vegliare su se stesso e su tutto il gregge per pascere la Chiesa di Dio, acquistata con il sangue di Gesù”.
Il suo esempio oggi interpella me, vescovo di questa Chiesa, i miei cooperatori presbiteri e diaconi, coloro che nell’ambito della pubbliche istituzioni esercitano autorità a servizio del bene comune e voi, carissimi Edoardo e Aldo, che con il sacramento dell’ordine consacrate la vita al servizio del vangelo.
Anche il nostro tempo è funestato da invasioni barbariche e da tante voci che sorgono ad insegnare dottrine perverse; mi riferisco alla scristianizzazione dilagante e a molteplici forme di ingiustizia che opprimono l’umanità e la costringono senza un vero orizzonte di speranza e di senso.
Papa Francesco nel suo discorso ai partecipanti al convegno dell’Associazione Professori di Storia della Chiesa (12.01.2019) si esprimeva così: “La storia, studiata con passione, può e deve insegnare molto all’oggi, così disgregato e assetato di verità, di pace e di giustizia… e non impariamo! L’Italia – e in particolare la Chiesa italiana – è così ricca di testimonianze del passato! Questa ricchezza non deve essere un tesoro solo da custodire gelosamente, ma deve aiutarci a camminare nel presente verso il futuro. La storia della Chiesa, della Chiesa italiana rappresenta un punto di riferimento essenziale per tutti coloro che vogliono capire, approfondire e anche godere del passato, senza trasformarlo in un museo o, peggio, in un cimitero di nostalgie, ma per renderlo vivo e ben presente ai nostri occhi”.
I tempi di San Romolo, ormai così lontani, rivelano alcune somiglianze con la nostra epoca; era il momento del disfacimento dell’impero romano d’occidente così glorioso sotto il profilo della potenza militare, economica e politica e tanto ricco di benessere, di cultura e di arte. Roma era caduta sotto la violenza delle invasioni dei barbari e le popolazioni delle periferie, come la nostra, pativano l’abbandono e precipitavano in balia di molteplici forme di miseria materiale e morale.
Dobbiamo riconoscere che la prima e vera causa della fine dell’impero romano non è stata l’esterna aggressione di popolazioni violente, ma piuttosto una corrosione interna fatta di corruzione, di immoralità e di stoltezza, frutto di un benessere troppo facile e vuoto.
Credo non sia necessario spiegare perché proprio questo aspetto costituisca un vincolo di somiglianza con il nostro tempo.
Nel frattempo in tutto l’ambito del mondo allora conosciuto e romano si andava diffondendo la fede cristiana e la Chiesa andava organizzandosi anche come società visibile sostituendo spesso l’autorità pubblica latitante e promovendo soprattutto una nuova cultura capace di sintesi e di novità.
È in tale prospettiva che la nostra gente ha conosciuto la persona e l’opera di San Romolo e lo ha ritenuto così determinante da cambiare il nome del territorio passando dalla romana “Villa Matutia” alla cristiana “Civitas Sancti Romuli” e riconoscendo al Santo il valoroso titolo di “defensor civitatis”.
Allora li chiamavano “barbari” in ragione della loro lingua sconosciuta e incomprensibile, che appariva “balbettante”, oggi una barbarie di ritorno mortifica il linguaggio delle nostre società, che orgogliosamente rivendicano patenti di civiltà ed invece sono smarrite – forse più di allora? – nella corruzione, nell’immoralità, nella mancanza di significati e valori autentici e nel rinnegamento delle radici cristiane.
Ad aggravare la situazione si aggiunge un rifiuto livoroso ed esplicito di Dio, del suo amore e della sua parola, nell’assurda convinzione che soltanto l’emancipazione dalla fede possa procurare all’uomo vera libertà e progresso. Nonostante i fatti inesorabilmente smentiscano tale prospettiva, oggi essa con preoccupante accelerazione viene perseguita e propagandata sotto l’ipocrita denominazione di “nuovo umanesimo”, praticamente un’etica, una visione del mondo e addirittura una religione senza Dio.
Il papa San Gregorio Magno, vicino al nostro Santo per epoca e per stile di missione, ammoniva nella sua Regola Pastorale (cfr. Lib. 2, 4) i pastori ad essere “accorti nel tacere e tempestivi nel parlare per non dire ciò che è doveroso tacere e non passare sotto silenzio ciò che dev’essere svelato… perché un silenzio inopportuno lascia in una condizione falsa coloro che potevano evitarla” e spiega come il Signore lamenti la trascuratezza di tante guide del popolo citando il profeta Ezechiele: “Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore” (Ez 13, 5), rincarando la dose con una forte espressione del profeta Isaia: “Sono tutti cani muti, incapaci di abbaiare” (Is 56, 10). San Gregorio continua: “Salire sulle brecce significa opporsi ai potenti di questo mondo con libertà di parola per la difesa del gregge. Resistere al combattimento nel giorno del Signore vuol dire far fronte, per amore di giustizia, alla guerra dei malvagi. Cos’è infatti la paura di dire la verità se non un voltare le spalle al nemico con il suo silenzio?”.
Oggi siamo esposti alla guerra dei malvagi ancor più pericolosamente perché il nemico si spaccia sotto le ammiccanti spoglie del progresso, della libertà di pensiero, dell’autodeterminazione, di una civiltà finalmente fraterna, libera ed uguale, il tutto con la pretesa di escludere assolutamente il Padre, cioè Colui dal quale proviene ogni bene, la conoscenza della verità e l’autentica libertà intesa non come “vita randagia”, ma come appartenenza nell’amore.
Lascio alla riflessione personale l’approfondimento di questi spunti, ma chiedo a me ad alta voce e quindi ai miei confratelli, alle autorità qui presenti, ai genitori e a tutti coloro che hanno compiti educativi, soprattutto nei confronti dei più giovani: siamo forse anche noi cani muti? siamo colpevolmente proni all’invasività del “politicamente corretto” senza più un sussulto di libertà, di responsabilità e di dignità? siamo insipientemente rassegnati a soccombere ad un nuovo sfacelo di civiltà solo perché manchiamo di coraggio e di buona volontà?
Oggi sono davanti a noi due fratelli, Aldo ed Edoardo, che accanto agli impegni di famiglia e di professione, hanno deciso di accogliere la chiamata del Signore e con l’ordinazione diaconale mettono la loro vita a servizio del Vangelo e della missione salvifica della Chiesa.
Carissimi ordinandi, sentitevi rinnovati e rinvigoriti dalla fiducia donatavi da Gesù e custodite nel vostro cuore la gioia della fede affinché essa risplenda nella vostra parola e nella vita come contagiosa testimonianza e ammaestramento per tutti i fratelli.
Il suggestivo rito di ordinazione si concluderà con la consegna del libro dei Vangeli ed io vi esorto con le parole dell’apostolo Paolo a “non arrossire mai del Vangelo poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (cfr. Rm 1, 16). La consacrazione diaconale vi conforma a Cristo servo, venuto per dare la sua vita per la salvezza di tutti: siate dunque disponibili sempre e senza riserve nella carità, nel ministero della consolazione, nella solidarietà più concreta, e non trascurate mai la più alta forma di carità che consiste nell’indicare a tutti nel Cristo il solo che può dare all’uomo compimento, felicità e salvezza eterna. Lavorate nel campo di Dio non per risultati terreni ed effimeri, ma per portare tutti alla festa eterna preparata dal Signore per i suoi figli; riprendo qui il tema della mia ultima lettera pastorale e, con espressione evangelica, dico anche a voi: “uscite e costringeteli ad entrare” (cfr. Lc 14, 6), aggiungendo con il profeta Isaia: “Grida a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce” (Is 58, 1).
Ci aiuti San Romolo a conservare e ad accrescere la gioia, la fierezza e la forza della fede.
+ Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – San Remo