Di Vincenzo Bova, docente di Sociologia delle religioni e Famiglia e mutamento sociale.
L’esplosione della pandemia da Coronavirus rappresenta un evento inatteso che segna la nostra epoca definendo una linea di separazione fra il prima ed il dopo l’apparire dell’agente patogeno. Uno spettro si aggira per il mondo. Invisibile e potente. Inatteso, imprevisto ed i cui esiti non sono al momento calcolabili. Uno spettro che s’infiltra nella quotidianità di uomini e donne senza fare distinzioni di genere, nazionalità, ceto. Che attecchisce indipendentemente dai sistemi economici, dai sistemi politici, dalle culture. Corollario e compimento indesiderato di una tarda modernità che, dopo il crollo del muro di Berlino, tentava di riproporre la sua promessa primigenia: «domani sarà meglio di oggi» sotto il faro illuminante del processo di globalizzazione e delle potenze che ne sono a guardia. L’epidemia ha mostrato, in poche settimane, come il gigante cinese abbia piedi di argilla e come la sua fragilità infetti pericolosamente la rete di relazioni che aveva intessuto, a modo suo obbediente al percorso d’ingresso nel novero dei potenti della terra. Se nella società globalizzata «un battito d’ali di una farfalla ad est può provocare uno spaventoso uragano ad ovest» l’infezione partita dalla Cina ha mantenuto la stessa dinamica, con la forza originaria ben più temibile di quella esercitata da un battito d’ali di farfalla (qui il battito era di ali di pipistrello).